“…no perché, vedi, il problema è che mi attacco troppo alle persone. Pensa che ho perfino smesso di prendere il treno.
Sì, sai cosa, è che mi affezionavo troppo agli altri passeggeri. Entravo nello scompartimento, dicevo buongiorno, sistemavo il bagaglio e poi, niente, dopo un po’ iniziavo a volergli bene.
Magari uno scambia due parole, l’altro telefona alla fidanzata… come fai a restartene indifferente?
Che poi io non sono nemmeno questo gran chiacchierone, sai. Mica attacco bottone con gli sconosciuti, io. È più che altro un… non saprei come definirlo.
Si esatto! Un legame, ecco. Sento un legame con le persone che mi stanno attorno. Belle, brutte, simpatiche, antipatiche… per me fa lo stesso.
Voglio dire, è una cosa molto strana? Evidentemente sì, a giudicare dalla tua reazione. E non l’hai sentita ancora tutta. Ma ti stavo raccontando del treno…
Ecco, il problema è quando scendono. Soprattutto se si tratta di viaggi lunghi. Magari tu e un altro tizio avete passato quattro ore stipati nello stesso scompartimento di tre metri per due, avete respirato la stessa aria, hai ascoltato la sua telefonata alla figlia, l’hai visto dormire a bocca spalancata, e poi, all’improvviso, questo tizio si alza, prende la valigia e se ne va, spesso senza neppure salutare. Fine, the end, addio per sempre. Come la mettiamo, eh?
Non è facile, guarda. Io proprio non ce la faccio. Mi si stringe il cuore. E lo stesso avviene con tutti gli altri che, uno dopo l’altro, escono ordinatamente di scena. Eh sai, proprio non lo riuscivo a sopportare. Arrivavo a destinazione col magone. Finché mi sono detto: Basta, d’ora in poi prendo la macchina. Da solo, con la musica sparata al massimo. Almeno l’unico con cui devo fare i conti sono io. Nessuna separazione dolorosa. Di benzina si spende, ma risparmio in ulcere.
Puoi darmi del matto se vuoi, non mi offendo. Faccio anche di molto peggio, sai? Potrei farti un sacco di esempi. Chiedilo ai miei ex compagni delle elementari. Una volta al mese telefono a uno di loro. Così, a rotazione, giusto per rimanere in contatto.
‘Ehi ciao, ti ricordi me? Abbiamo fatto insieme le elementari. Perché non mi aggiorni un po’ su quello che ti è capitato in questi ultimi… trent’anni?’
Alcuni riattaccano. E non ti dico come ci rimango quando uno cambia numero o sparisce.
Il mese scorso ho chiamato Piero, il figlio di un giostraio che è stato in classe con me per un paio di mesi, ai tempi della terza elementare. Piero non ha seguito le orme del padre. Ha studiato medicina ed è diventato podologo. L’ho trovato per caso sull’elenco telefonico, una volta che mi si era incarnita un’unghia. Ci siamo sentiti un paio di volte. Mi raccontò che si era sposato e che aveva due bambini, due gemelli.
Un giorno mi stavo annoiando e ho deciso di chiamarlo. Ha risposto una donna. Io ho chiesto di Piero e lei mi ha detto che Piero era morto. Aneurisma.
Puoi immaginare come ci sono rimasto. È stato come se mi fosse morto un parente stretto. Alle volte la vita sa essere davvero crudele. E più il tempo passa e meno persone ci saranno da chiamare. Tutti, prima o poi, scendiamo dal treno. D’altra parte è così. Certo non mi auguro di scendere per ultimo.
Comunque non lo faccio soltanto con i compagni delle elementari. Alle volte telefono anche a ex colleghi di lavoro, conoscenti, negozianti da cui mi servivo in passato e via dicendo.
Coltivo i rapporti, ecco tutto. Al giorno d’oggi le persone preferiscono rimanere in superficie. È meno dispendioso. Non ci si deve ricordare dei compleanni e non è necessario trovare argomenti di conversazione.
‘Ciao, come va? Bene grazie e tu?’, e poi tanti saluti. Ci rivediamo fra vent’anni, magari, in coda al supermercato. Cambiati. Così diversi che non abbiamo più nulla da dirci. E allora facciamo pure finta di non riconoscerci. Conviene a entrambi.
Comodo, no? Sai qual’è il mio problema? Sono troppo buono forse. Lo diceva anche la mia ex: ‘Tu sei troppo buono. Prima o poi finirò per farti del male’. Te lo assicuro, diceva proprio così. A quanto pare mi ha lasciato perché sono troppo buono. Ora capirai quanto possa risultare devastante l’interruzione di un rapporto amoroso, per uno nella mia situazione psicologica.
Spesso mi sono venuti degli attacchi di panico. Era il pensiero di non rivederla più che mi causava questi momenti di confusione devastante. Non riuscivo a respirare. Allora prendevo il telefono e la chiamavo, nel cuore della notte. Le dicevo: ‘Ti prego amore, cambierò… cambierò…’
Ma quando sei buono come puoi cambiare? Se sei cattivo puoi diventare buono, ok, ma se sei buono non puoi mica diventare cattivo. Che senso avrebbe!
E allora, sai cosa ti dico, meglio essere così, no? Che al mondo ne trovi quanti ne vuoi di menefreghisti. Io proprio non lo so dove finiremo, di questo passo. Figli e genitori si sputeranno in faccia e i vicini di casa si manderanno al diavolo ogni volta che s’incontreranno sul pianerottolo. Ognuno a difendere con le unghie e con i denti il proprio globulo atomizzato. Un individuo, una casa, una macchina, un letto singolo, uno spazzolino da denti, una cassa da morto. Ciascuno per conto suo. Gran bella roba, davvero.
Forse però ti sto annoiando. Ho indovinato? Tu hai chiamato per vendermi… cos’era, un aspirapolvere? Ah certo certo, il contratto telefonico. E guarda chi ti tocca ascoltare! Ti sto facendo perdere tempo prezioso. Del resto devi lavorare, no? Chissà quante altre persone dovrai chiamare oggi per guadagnarti la paga… eh… quante? Accidenti! No, no, allora ti saluto. Anzi, scusa se ti ho fatto perdere tutto questo tempo ma, come avrai notato, il problema di cui ti sto parlando si manifesta anche quando arriva il momento di congedarsi. Se uno mi invita a cena a casa sua io mi piazzo lì per ore. Trovo mille scuse per restare: l’autobus che passa fra venti minuti, l’ultimo giro d’amaro, l’ultima sigaretta, una discussione che proprio non può essere rinviata. Temporeggio fino a quando non mi sbattono fuori di casa.
Il fatto è che non riesco a dire addio alle persone. Mi fa stare male. E per me tutti gli addii sono dolorosi alla stessa maniera. Nessuno è sostituibile, nessuno. Si perde sempre qualcosa. Irrimediabilmente. Qualcosa di tuo e tuo soltanto, che rimane attaccato alle persone con cui hai avuto a che fare. Se le perdi di vista loro se lo portano via, si portano via un pezzo che ti riguarda, che ti appartiene.
Infatti a tal proposito vorrei chiederti una cosa, se non risulto troppo indiscreto. Pensavo… sai, visto che stai lavorando… magari potresti lasciarmi il tuo numero di casa, così ti potrei chiamare, una volta di queste. Senza impegno eh, giusto per fare due chiacchiere, se ti va. Così, tanto per non perderci di vista. Che ne dici?”
Testo: Martin Hofer
Immagine: Chiara Sgatti