Editoriale
People are people
apnea corporale
“Ehhh, la gente! La gente è così”, dice l’uomo seduto al bancone. Ha appena concluso una storiella su un tale che ha maciullato la famiglia con un’accetta.
“Ehhh, la gente è strana”, gli fa eco il Barista.
“La gente è tutta matta.”
“He he, sì. La gente è la gente”, aggiunge il Barista.
L’Avventore se ne sta aggrucciato sullo sgabello, il fiato umano appanna il boccale di birra che stringe tra le mani.
“He he he”, ridacchia il barista per occupare un attimo di silenzio.
Dovremmo trovarci in un pub irlandese. Lo suggeriscono gli arredi in legno, le cianfrusaglie sottratte a qualche mercatino della domenica pomeriggio e quell’inconfondibile puzzo di piscio che non dovrebbe mai mancare in nessun pub irlandese che si rispetti.
Il Barista è un uomo secco sfinito dagli zigomi. Sembra innaffiare la sua quotidiana prestazione lavorativa con abbondanti fiotti di entusiasmo e rigagnoli di buonumore, ma c’è chi sarebbe pronto a giurare che, ogni sera, nel risuonare delle orchestre televisive, si senta gridare e imprecare, e piangere, mentre un sapore di corda avvolta spezza i pasti del vicinato, li raffredda in un cappio indigesto.
L’Avventore è la carne che manca al Barista. Basso, sguardo pigro, postura incagnita. Viene a farsi qualche bicchierino. Spesso, tutti i giorni. Non ci trova niente di male nel bere in compagnia. Lo aiuta a sentirsi parte di qualcosa, spiega agli altri clienti.
Si dice in giro che abbia un debole per signorine dalla virilità sconveniente, che raccoglierle dalla strada come funghi rari e vagamente velenosi, lo aiuti a sentirsi parte di qualcosa.
Lo schiocco di un accendino friziona l’aria umidiccia.
“Ehi, non si può fumare qui”, dice il Barista all’altro cliente nel pub.
Siede al tavolino in fondo. Ha ordinato un gin liscio e per tutto il tempo non ha fatto altro che osservare gli scaffali ingombri di alcolici e picchiettare le nocche bluastre contro lo spigolo di un mobile.
“Non si può. Se devi fumare abbi la decenza di andartene fuori.”
Il cliente sbuffa e butta la sigaretta nella vaschetta delle noccioline, poi la spegne deponendo un grosso bozzo di saliva.
Il Barista scuote il capo e cerca lo sguardo del suo fedele Avventore.
“Pazzesco.”
Questi restituisce una scrollata di spalle, come a sentenziare: “Visto? La gente è così. Son capaci di tutto. Possono maciullare la famiglia e sputare nel vasetto dei salatini con la stessa indifferenza”.
Tornano a ignorarlo.
In strada sta sfilando la Processione del Santo e i due uomini si precipitano alla finestra per guardare.
Un arrabattare di campanelli, incensi caramellosi, donne piangenti, croci innalzate. Un brusio di bocche che districa rosari per madonne mute. Ecco i fedeli.
Ordinati, mandria obbediente, sfilano in coro. Le donne, gli uomini, gli storpi miracolati. Gomito a gomito, procedono solenni, gomito a gomito, appresso alle reliquie del Santo. E il prete. Canta nel megafono, scandisce ogni parola con chiarezza, più lento del carro dal quale predica.
“Resteremo uniti, e pregheremo il Santo. Saremo una cosa sola soltanto, un solo corpo, un solo spirito, un’unica ragione.”
Il Barista e l’Avventore si sciroppano tutta la scena, non perdono un movimento, fanno spazio coi fianchi.
Forse è in quel momento che sparisce una bottiglia di whisky dallo scaffale. Anche il cliente seduto in fondo al locale, sparito.

L’Inquieto è già in strada. Sbanda, barcolla, afferra un braccio per non cadere. È un braccio qualsiasi, di un fedele, qualsiasi, sciama nella folla inosservato. Ogni tanto solleva la bottiglia, la porta alle labbra, disfa la sete, la sete di acqua santa distillata forte. Il gin fu inventato per consolare i soldati olandesi dalla febbre, la religione per consolare i poveracci. Ma la gente è buona soltanto a consolare la polvere.
Il carro del Santo prosegue lungo la sua strada, alcuni fedeli si disperdono, diventano passanti, mangime per ipermercati e poi code di fronte ai locali.
Così perfettamente disordinati, cullano ansie e passeggini. Così perfettamente indifferenti.
L’indifferenza di chi non sa, non conosce, non sa di non conoscere. La verità è che non esisti, e per questo sei libero. Nessuno saprà chi sei, nessuno dirà che hai sbagliato strada, nessuno giudicherà le tue stanche barzellette.
Siamo tanti e pallidi. Ingoiamo un giorno appresso all’altro, nudi d’invidia. Siamo in balia delle sciagure, reticoli di nervi mortificati. Siamo esploratori di comodini. Scarti della massa feroce. Siamo esausti, perseguitati dalle pause pranzo e dal tempo malspeso.
Là in mezzo sono io. Sono Nessuno e Nessuno sarà la Gente.
 l’Inquieto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *