Ecco sì, era stato uno stacco totale, liberi lì sulla superficie salmastra dell’oblio, la notte le stelle, dove e quando sorgerà questa volta la luna?, i delfini che si grattano la schiena sulla chiglia mentre la navigazione procede instancabile a sette miglia nautiche all’ora, sull’orlo dell’oblio, abbracciati in cabina, sorreggendosi l’uno all’altra mentre galleggiavano nell’alta marea, il costume slacciato, il sole che brucia le spalle e il naso e le lentiggini che neanche troppo lentamente vengono fuori e si illuminano di baci e dire che ti amo è fin troppo poco, giorno dopo giorno, ci sono problemi che svaniscono, il mare cancella, la barca non lascia dietro di sé nessuna traccia, era stato come riposare a lungo dopo un lungo viaggio che non porta in nessun luogo e in nessun tempo, se non tra le sue braccia impaurite e poi il tempo era finito e lei, solo lei doveva tornare a casa, avrebbe preso un aereo e lui l’avrebbe raggiunta una settimana, dico una sola settimana dopo.
Aveva ripiegato anche il costume in silenzio, guardandola appena, in silenzio, ma che avevano per non parlarsi? Mentre lei cercava le proprie amate forbicine da unghie, lui era andato a comprare il biglietto del traghetto che dalla piccola isola dove avevano attraccato l’avrebbe condotta alla grande isola dove l’operosità dell’uomo aveva edificato un aeroporto e invece di comprarne uno, ne prese tre, che ripose nel proprio portafogli.
Osservò le barche in porto fumandosi una sigaretta. I pescherecci, i motoscafi, i dragamine, le piccole dolci barche a vela, i catamarani, i gommoni, le boe su cui i cormorani digerivano sonnacchiosi, e i traghetti, i traghetti che partono, che arrivano in nessun tempo e in nessun luogo.
“Ma no dura solo un’ora il viaggio, non ho niente da fare oggi se non accompagnarti almeno fino all’isola più grande, là dove l’autobus ti porterà via, in quel posto dove ti raggiungerò tra solo una settimana, una sola settimana.”
Lei era contenta quando si misero a sedere sulla poltroncina, ma cominciò a preoccuparsi quando vide che lui stava piangendo.
“Niente, volevo solo dirti che, niente mi dispiace che vai via.”
“Ma ci vediamo tra una settimana.”
“Lo so, lo so, e allora?”
Poi era arrivato l’autobus. Lei era salita per ultima. Lui aveva fatto il duro cercando di chiedere informazioni all’autista sui pullman del futuro. Poi le porte si erano chiuse. Lei aveva scosso la testa e i capelli e la mano di flanella ed era semplicemente scomparsa.
E adesso era solo. Non riusciva a smettere di piangere. Solo ora si era accorto che quel porto era il luogo ideale per scuotere il proprio ciao ciao dietro ad un autobus che se ne va: grosse ciminiere di una centrale idroelettrica, carghi e container multicolore e il vento carico di zolfo e i turisti contenti che arrivavano pronti a salire sul traghetto successivo, solari e gioiosi come pietre abbandonate alla deriva, i loro vestiti estivi e i loro sorrisi festivi e la loro felicità agostana e nessuna traccia di smog dietro a loro, mentre lui stringeva la bottiglietta d’acqua, solo mezzo litro d’acqua naturale a temperatura ambiente, tra un singhiozzo e l’altro, tra una settimana, dietro la capitaneria di porto, la rivedrei tra una settimana, le lacrime e il muco e il pacchetto di sigarette che stava finendo e l’amaro che si scioglie in un solo sorso fra pochi minuti spensierato e speriamo che nessuno si accorga di me, speriamo solo che nessuno si accorga di me.