Li Ciddì Invisibili presenta:

ARTISTA: Savonarola
DISCO: “Rogo”
ETICHETTA: La banca del seme
ANNO: 2013
GENERE: Blues, folk post-rinascimentale
VOTO: 7

Piazza Savonarola è una pozza di cemento circondata da siepi e fermate dell’autobus, uffici anonimi e file di parcheggi a lisca di pesce. Un posto come se ne vedono tanti, a Firenze come da qualsiasi altra parte.
Ancora non sono ben chiari i motivi per i quali, d’estate, questa piccola oasi di afa incandescente diventi uno dei principali punti di ritrovo per sbarbatelli in vacanza. Cocktail in mano e diahane d’ordinanza, i giovani fiorentini fumano una sigaretta dopo l’altra svaccati su una panchina, o ai piedi della statua che campeggia al centro della piazza. La statua di Girolamo Savonarola, per l’appunto.
No, questo non è uno di quei servizi che Gigi Sironi intitolerebbe “Gioventù da sballo”. Questa vuole essere soltanto una recensione.
Ma se almeno una volta nella vita siete capitati in zona, non avrete potuto fare a meno di notare quella figura barbuta che, stretta fra ragazzini alticci e sudati, giace ai piedi del frate eretico con una chitarra mezza scordata fra le braccia.
Lo strano soggetto in questione – una sorta di incrocio mal riuscito fra Tom Waits e il Grande Lebowski – risponde al nome di Dario Bettini, ma se lo chiamate così è assai improbabile che costui non vi risponda.
Per tutti i frequentatori delle serate fiorentine, Bettini è semplicemente Savonarola. Tutt’al più, ora che il suo album ha riscosso il plauso di riviste e blog musicali indipendenti, potrebbe essere diventato “Savonarola, quello che ha fatto il disco”.
La storia di Bettini è a dir poco cinematografica. Un’epopea all’italiana che, manco a a farlo apposta, si incrocia a più riprese con la vicenda del “vero” Savonarola (quello 100% original).
Nato nel febbraio 1969 a Ferrara – la stessa città natale del frate – Dario si iscrive al Dams di Bologna dove, fra corsi di musicologia (pochi) e cylum nel cortile della Facoltà (molti), inizia a sperimentare il vagabondaggio e la vita da giovane ribelle. È proprio in Piazza Verdi che Savonarola comincerà a destreggiarsi con la chitarra, nelle sue prime performance da musicante di strada, ma il periodo accademico non durerà a lungo. Solo qualche mese e una manciata di esami sostenuti, ed ecco che il non-ancora-Savonarola molla Dams e burattini per intraprendere un cieco vagare chitarra in spalla per la provincia italiana.
Parma, Piacenza, Genova, spingendosi fin verso Livorno, Foligno, Terni, Ostia e Grosseto. Dario sopravvive con quel che capita – perlopiù con lavoretti da manovale, scaricatore di porto e ortolano – e la sera si siede su uno scalino di qualche piazza per dar voce alla propria musica. Il blues delle origini come riferimento primario (W.C. Handy, Ma Rainey, Sam Chatman), ma anche gli anni ’60 e ’70 con i vari Bob Dylan, Joni Mitchell e Sixto Rodriguez. Il cantautore inizia a costruirsi un nome, seppur in spazi limitati, sia a livello geografico che di scena. Il pensiero di incidere un demo e di inviarlo a qualche casa discografica è del tutto alieno alla mentalità del cantautore, che non pretende altro che uno scalino dove sedere e un paio di ubriachi a fare da spettatori.
La svolta giunge un paio di anni fa, quando da Grosseto Bettini prende un treno con destinazione Genova. Basta Toscana, basta centro Italia. Si torna verso il nord. E invece no. Perché in attesa della coincidenza per Genova, Dario decide di farsi due passi per il centro di Firenze, e ne rimane impressionato.
Potrebbe trattarsi di una questione di giorni, forse di settimane. Poi arriva l’impiego come lavapiatti in una pizzeria di – indovinate dove? – Piazza Savonarola. E il cerchio si chiude, finalmente.
Bettini si spacca la schiena tutto il giorno e a fine turno corre in piazza a strimpellare la sua chitarra. Per i bevitori del sabato sera diventa quasi un’istituzione.
Fino a quando, una notte come tante, non lo adocchia Guido Pancagli, co-fondatore de La Banca del Seme, etichetta di Prato particolarmente attenta ai subbugli dell’underground locale.
A 44 anni è dunque il tempo di Rogo, prima fatica di Dario “Savonarola” Bettini.
Questo lavoro di dodici pezzi è un concept che traccia con grande precisione un parallelo fra la Firenze quattrocentesca e la situazione attuale del nostro paese.
Lorenzo il Magnifico come precursore del “Berlusconismo” (“Bunga Bunga a Palazzo Medici”), la famiglia pallesca come simbolo del potere occulto e della lobby ebraica (“Padroni del benestare”, “Cupidigia”, “Muri del pianto”) e, ovviamente, Savonarola come raffigurazione della volontà di rinnovamento e ribellione al papato (“Tutto brucia”, “L’uomo di paglia”).
Da un punto di vista squisitamente storico-politico non sempre il paragone regge, ma l’operazione, che in un certo senso ricalca lo stratagemma manzoniano, è originale e funziona di brutto.
Se a questo aggiungiamo il puro godimento derivante dal fingerpicking molesto, dai traccianti stonati di chitarra, e dalla voce roca e altrettanto stonata – ma profonda, significante – di Savonarola, il risultato non può essere che un discone.
Ancora non ci è dato sapere se Savonarola porterà la sua opera in concerto. Dario infatti continua a lavorare in pizzeria come niente fosse, affatto turbato dal clamore e dal baccano che si è creato attorno a lui. Se volete assistere a un suo concerto, siamo convinti che vi basterà capitare dalle parti di Piazza Savonarola, e sedervi sotto la statua del frate eretico. Il concerto avrà inizio, prima o poi.

Testo: Martin Hofer
Immmagine: Bernardo Anichini

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