Li Ciddì Invisibili presenta
ARTISTA: Ray Zamudo
DISCO: Ulysse de Joie
ETICHETTA: Mundo Louco
ANNO: 2013
GENERE: Etnic-fauna, cultural-ambient, animal, pedagogic
VOTO: 9
Sono passati mesi ormai dall’uscita di “Flamingo Love”, il singolo con cui Ray Zamudo ha stupito la scena musicale internazionale. Nell’ambiente si pensava che non sarebbe mai seguito un vero e proprio album, forse anche a causa dell’inquietante utilizzo del brano nella pubblicità di detergenti intimi che lo ha trasformato nel tormentone della scorsa estate. E, invece, ecco finalmente Ulysse de Joie.
Basta il primo ascolto per capire che il lavoro dell’eclettico brasiliano non si presta ad essere sfruttato per fini commerciali, come accaduto col singolo. Se, infatti, in “Flamingo Love”, ciò aveva sminuito l’originale idea di accompagnare la melodiosa voce brasiliana di Ray con il canto dei fenicotteri in amore, sarà più difficile che accada con il resto dell’album. Si tratta di un’opera estrema, capace di combinare le ricerche sperimentali dell’artista carioca con le più variegate influenze etniche mondiali. Già il titolo, riferendosi all’eroe greco appassionato di viaggi, lascia intuire il desiderio di spaziare tra i generi musicali più disparati.
Ray Zamudo è riuscito a modulare perfettamente i suoni della natura con le musiche tipiche degli uomini che vivono al suo interno in una grandiosa polifonia ambientale. Come, ad esempio, nel brano di chiusura, “Ice Valley”, in cui il sibilo sospirato dalla bocca sdentata dell’eschimese Got viene accompagnato da un coro di pinguini squillanti e distorti dal campionatore tanto da suonare come trombe, col ruolo di trombone eseguito dal leone marino. Difficile togliersi dalla testa quel grido allucinato che fa da sottofondo per tutta la durata del brano.
Di certo, il lavoro di gioventù come veterinario nello zoo di Sao Cristòvao, oltre a essergli costato il nomignolo di “ex veterinario di Rio” con cui è stato ribattezzato da Jimmy Guest nell’articolo “Musiche animali”, ha arricchito moltissimo la conoscenza di Ray in materia di fonetica animale e ha influito sul suo studio di questa particolare musica faunistica.
Certamente, uno dei risultati migliori è stato raggiunto proprio con la registrazione in presa diretta del canto dei fenicotteri durante la stagione degli amori, che gli ha permesso di elaborare l’orecchiabile motivetto di “Flamingo Love”. In Ulysse de Joie, però, non c’è solo sperimentazione di suoni mistici o alienanti. Lo dimostra la ritmica focosa di “A Quatre Amis”. Per la creazione di questo pezzo travolgente è ben valsa la settimana di lavoro di Ray Zamudo insieme a un vivace ensemble di scimmiette senegalesi. “Non è stato molto difficile insegnargli a suonare le percussioni in modo sincronizzato – ha spiegato l’artista – quanto convincerle a restituire gli strumenti una volta terminata la registrazione”.
Degna di nota anche la collaborazione tra Ray e l’antropologo Ruben Narvaez, che gli ha consentito di approfondire le tradizioni musicali di vari popoli e di lavorare a stretto contatto con artisti e band di tutto il pianeta. Non è solo il caso dell’eschimese Got, ma anche di Tonio du Vivier, pingue e sanguigno santone creolo di New Orleans. Il legame sorto tra i due ha dato vita a ben due tracce dell’album. Colpisce subito le nostre orecchie il boato rauco di “After de Carnival”, una veemente esplosione vocale che pare fuoriuscire direttamente dai pentoloni di acqua bollente che gorgogliano tutto intorno al santone. Il brontolio delle lumache unito a quello del gambero rosso della Louisiana produce uno strano effetto ipnotico. Il secondo pezzo inciso a New Orleans è il gospel-jazz “Please, Jesus Save Me from Dengue Fever”, in cui la componente animale si limita al continuo abbaiare di un cane in lontananza, “che, comunque, è una ficata”, come ha commentato amichevolmente il critico Porfirio Salomar.
Per quanto riguarda il profilo tecnico, è molto interessante l’utilizzo di strumenti messi a punto dall’artista stesso, come il Rugiada Synth grazie al quale Ray è riuscito a catturare l’umido riverbero mattutino dell’erba, un ticchettio cristallino che si può apprezzare in “Ouro de Irlanda”, una specie di elegia celtica sulla base del fruscio di muschio.
A completare l’orizzonte caleidoscopico di quest’album, forse unico al mondo, meritano di essere menzionati “Kamchatka – The War Cry of the Siberian Bears”, pezzo strumentale simile a un vento ascetico-psichedelico, “A Ultima Noite de Atahualpa”, contraddistinto dal particolare suono delle maracas fatte con uova di struzzo, e infine la title track “Ulysse de Joie”, ovvero il canto della stiva di una nave salpata da Atene per riportare in Africa un gruppo di animali ospiti del giardino zoologico della capitale greca.
In conclusione, ritengo che Ulysse de Joie” sia un album da non farsi scappare, consiglio rivolto ai collezionisti ma anche ai semplici curiosi.
Testo: Fabrizio Di Fiore
Immagine: Bernardo Anichini