UMID(O) presenta
LA RIVISTA CON LA P
Successe infine che venni chiamato da una rivista per scrivere un racconto erotico. Il nome della rivista inizia con la P e non serve dire altro perché la conoscete tutti. Mi telefonarono, per dirmelo.
“Quanto tempo ho per scriverlo?”
“Una giornata”, disse una voce anonima alla cornetta.
“Non è molto. D’accordo, ve lo mando domani sera.”
“No, verrà qui in ufficio a scriverlo.”
“Ma non ha senso. Scrivo molto meglio a casa mia, o al parco. Gli uffici distruggono la creatività, non lo sapeva?”
“Signor Bellonci si rende conto di aver firmato un contratto dove questa condizione era chiaramente specificata?”
“Veramente non ho firmato proprio niente.”
“Ah, no? Le mandiamo subito tutto via fax. Resti in linea.”
Poco dopo arrivò il contratto, lo firmai e lo rispedii. Ero contento perché alla voce compenso c’era scritto MOLTO ALTO.
“Ora, signor Bellonci, si rende conto di aver…”
“See, see. A che ora mi devo presentare?”
Arrivai settantun minuti esatti dopo l’orario stabilito. Alla reception una ragazza mulatta con la sesta di reggiseno mi fece il segno del pompino e mi consegnò il badge per accedere agli uffici. La ringraziai e presi la mia strada. Professionalità, Nanni. Sei qui per lavorare, ignora le provocazioni.
Un tizio vestito del suo solo sorriso mi scortò lungo i labirinti dell’edificio e dopo una serie di porte da cui giungevano rumori di giungla mi fece accomodare in una stanza bianca. Sedetti alla scrivania e osservai la macchina da scrivere.
“Questo affare ha tre S”, dissi indicando i tasti.
“È per scrivere sesso”, spiegò l’uomo nudo.
Se ne andò.
Non avendo altro da fare se non dar sfogo alla mia genialità, cominciai a battere a macchina. Avevo già scritto una pagina buona quando la porta della stanza si spalancò rivelando tre rosce da infarto vestite da diavolesse, con le cornine di plastica in testa e una lunga coda misteriosamente ancorata al posteriore.
“Anima dannata! – fece la diavolessa di mezzo – Hai peccato in vita e ora ti condanniamo a scoparci tre volte al giorno”.
“A me quattro!”, disse quella a sinistra, con le tette più grandi.
“Bonine, ragazze, bonine – dissi pulendomi gli occhiali con la maglietta – Devo lavorare”.
“Sciagurato! Non si scampa al proprio destino infernale!”
“Magari dopo, eh.”
“In pausa pranzo?”
“In pausa pranzo, pranzo.”
“Che noioso.”
Se ne andarono. Tornai alla mia storia, ma ormai il treno dell’ispirazione era partito e buttai via il foglio. Allora, vediamo un po’, si potrebbe riprendere quella vecchia storia dell’ombrello e della ciabatta, dove il domatore di leoni…
“Oink!”
“Chi è là?”
Guardai di nuovo la porta. Sulla soglia stavano carponi sei donzelle che si atteggiavano a mo’ di porcelline nella porcilaia. Erano totalmente nude e ricoperte di fango. Si strusciavano, si leccavano le parti intime tra loro.
“Oink! Vieni a scoparci il culo, Nanni!”, dissero in coro.
“Signore, signore, vi prego”, farfugliai.
“Puoi farci tutto, sai? Anche le peggio cose. Puoi cacarci e pisciarci addosso se lo vuoi. Tutto, tutto, sì, sì.”
Seppur in preda alla più strana delle erezioni, strinsi i denti e battei i pugni sul tavolo.
“Dietrofront e lasciatemi fare il mio lavoro. Prendo un compenso MOLTO ALTO per tutto ciò.”
Indietreggiarono mostrandomi sei formidabili buchi di culo e io presi un bicchier d’acqua.
Concentrazione, Bellonci. Proseguiamo. Dunque, l’ombrello, la ciabatta, il domatore di leoni. Un classico. Ma le cose si fanno interessanti nel momento in cui un cardellino maculato del Madagascar prorompe in un colossale…
…toc, toc…
“CHI CAZZO È.”
La porta si aprì di un piccolo spiraglio, senza far rumore.
“Scusa se ti interrompo”, disse la testa bionda che apparve.
La testa apparteneva a Scarlett Johansson.
“Sei tu Nanni, no?”
Boccheggiai, la faccia come quella di un tonno pescato con le bombe.
Scarlett entrò. Sul serio, non era legale una cosa del genere. Uno pensa che nei film gli attori siano truccati, che ci pensano gli effetti speciali a renderli simili a divinità. Ma per Scarlett non era così. La magia Scarlett ce l’aveva dentro. E fuori, per carità. Guarda che bocce, che cosce, sto visetto che, madonna il cristo, l’avrei…
“Stai lavorando?”, chiese.
“Baaaa…”
“Come?”
“Sì, volevo dire, sì.”
Si avvicinò. Indossava dei jeans e una maglietta rossa semplicissima. In quel momento era soltanto una giovane donna e io un giovane uomo col cazzo in procinto di collassare.
“Posso leggere quello che hai scritto?”
“Ma certo!”
Tolsi il foglio dal rullo e glielo diedi. Vidi i suoi occhi verdi scorrere sulle mie parole, le sue labbra carnose piegarsi in un sorriso sincero, dolcissimo.
“Questo cardellino è proprio un birbante! – disse – Sei straordinario, Nanni”.
“Sono solo un umile spargitore d’inchiostro.”
Si chinò su di me. Con la bocca mi sfiorò l’orecchio. Sussurrò: “Ai miei occhi sei molto di più”.
Poi si raddrizzò e fece un saltino che le fece ballonzolare le tette.
“Sai cosa dovremmo fare? – continuò – Dovremmo andare al lago, io e te. In primavera, con la temperatura perfetta, passeggiare, mangiare il gelato, rubare i nostri primi baci… E poi piantare una tenda sull’erba davanti alla riva e passare la notte stretti stretti a guardare le stelle e a fare l’amore. Verrai con me, Nanni? Verrai con me a far l’amore?”
“Io…”
“Dimmi, tesoro.”
“Io voglio…”
“Sei tanto caro.”
“Io voglio che…”
“Sì?”
“IO VOGLIO CHE TI LEVI DALLE PALLE. MA NON LO VEDI CHE STO LAVORANDO. MA NON LO SAI CHE SUL COMPENSO C’HO SCRITTO MOLTO ALTO.”
“AH! – fece lei copiando la mia ira – È DI QUESTO CHE STIAMO PARLANDO, DI COMPENSO. BEH, IO SUL MIO C’HO SCRITTO ALTISSIMO”.
“MA ALTISSIMO È PIÙ ALTO DI MOLTO ALTO.”
“LO PUOI BEN DIRE.”
“AL RAGGIRO! ALL’IMBROGLIO!”
“MA CHI TI S’INCULA, BARBONE. IO SONO SCARLETT JOHANSSON.”
Detto questo girò i tacchi e se ne andò sbattendo la porta.
Quella sera telefonai alla sede amministrativa di P. per dirgli che non ero riuscito a scrivere il loro racconto.
“Tz, tz. Molto male, signor Bellonci.”
“È stato un errore venire in ufficio, ve l’avevo detto. Troppe distrazioni.”
“Lei ha firmato un contratto, signor Winters.”
“See, see.”
“Un contratto con una penale.”
“Veramente sul mio contratto non c’era alcuna penale.”
“Ah, no? Glielo mandiamo subito via fax. Stia in linea.”
Attesi. Arrivò il contratto. Lo firmai e lo rispedii indietro. Ero triste perché sull’importo della penale c’era scritto MOLTO ALTO.
Stappai una birra e non ci pensai più.
Testo: Edoardo Arzenton
Illustrazioni: Daniel Valsesia