la cosa nello stomaco

La Cosa che ho nello stomaco mi dice di non sorridere. Anche se intorno sorridono tutti, anche se è quello che ci si aspetta che io faccia. Al massimo distendo le labbra, tiro gli angoli del volto verso l’alto, ma sorridere – con i denti e tutto – quello no.
Danziamo, io e Lei, al centro della sala. In sottofondo un lento di Barry White, Just The Way You Are, la nostra canzone.
Se sorridessi – sorridere davvero, come il tizio qui davanti comanda – allora Lei si accorgerebbe di quello che non va. E allora meglio dare ascolto alla Cosa nello Stomaco.
Il fotografo ci massacra di flash. Prima lo sento dietro di me e dopo un secondo ce l’ho davanti che mi spara una sequenza di scatti in faccia. Nelle foto non avrò l’aria troppo presente.

“Io non capisco perché devi invitarlo”, le avevo detto mentre dipingevamo il nostro nido di un’impalpabile sfumatura lavanda. Vecchie copie de “la Repubblica” sparse a terra e noi attenti a non far gocciolare i pennelli in piccoli soli rosa fuori dai fogli.
“Beh, perché è stata una persona importante nella mia vita.”
“Non ti sembra strano?”
“No, a me sembri strano tu. Io lo chiamo.”
“Sarebbe imbarazzante.”
L’appartamento era piccolo, ancora vuoto. La sua nudità produceva echi che ingigantivano le parole.
“Tu pensa alla lista di invitati tuoi, io penso ai miei.”
È difficile dire cosa sia successo, nei particolari. Lui non dovrebbe essere qui. Immagino che la sua presenza – sua di Lui – sia un modo di Lei per mettere una pietra sopra il passato, per dire ok non ci pensiamo più e non serbiamo rancore. Io non dovrei serbare rancore.

Su tre lati della pista ci sono tavoli mezzi sparecchiati, neutralizzati, chiazze di vino rosso e cibo sulle tovaglie di lino. Verdure tra i denti dei commensali un po’ alticci. Sul lato rimanente, il palchetto della band. Ghirlande e orchidee ovunque. È fine agosto e fa un caldo di quelli che ti vaporizzano.
Anche adesso, mentre balliamo, immagino Lui che bacia Lei, nonostante si siano lasciati da anni, da prima che io conoscessi Lei. Più che immaginare direi sognare, sia a occhi aperti che chiusi. Ce li avevo davanti – nella mia testa, è ovvio – già quando Lei l’ha chiamato per invitarlo.
Ora che ho la Cosa nello Stomaco, l’immagine si fa sempre più vivida. Ci dovrei dare un taglio. Ogni volta è come perdere un po’ di Lei. La Cosa nello Stomaco ne è la prova.
Il fotografo ci dice di stringerci di più. Di baciarci. Fortunatamente ho solo la bocca piena di sangue ma nessun segno sulle labbra.
Però quando ci baciamo Lei sente che qualcosa non va. In condizioni normali si staccherebbe e mi guarderebbe con il suo tipico cipiglio ma per adesso il flash del fotografo ci sta attaccato e quindi rimaniamo attaccati anche noi.
Adesso, davanti all’obiettivo, Lei si fa più audace e dischiude le labbra. Infila la lingua. Forza l’accesso e sono costretto a ricambiare. Il fotografo ci divora.

“Continuo a non vederci uno scopo nobile.”
“Ci rimarrebbe male…”
“E chi se ne frega?”
“A me frega. È un mio amico.”
“Direi più di un amico.”
“Sono anni che è solo un amico. Ci sentiamo ogni tanto a Natale e cose così, giusto per sapere come va. E stop.”

In un momento imprecisato tra il sorbetto e il secondo di pesce l’ho persa di vista e ho iniziato a cercarla. Sarà andata in bagno, mi sono detto, anche se non riuscivo a immaginare come potesse anche solo entrare nella toilette con tutti quei metri cubi di complicati svolazzi a struttura ellittica che formano il suo abito. Si sarà sentita male, ho pensato.
Neanche Lui si vedeva più in sala.
Il corridoio che porta ai servizi è un budello lucidato a specchio. Pareti madreperlate e inframezzate da punti luce a forma di conchiglia. Insieme al vino hanno formato un effetto strobo niente male, per cui mi sono dovuto puntellare al muro proprio davanti ai bagni. La camicia era completamente uscita dai pantaloni.
Poi, me lo sono trovato davanti. Ci siamo fissati per qualche secondo prima di superare la sorpresa.
Nei suoi occhi ho letto tutto quello che volevo leggere. In un certo senso, erano lo specchio della mia inferiorità rispetto al pezzo di vita – di Lui, di Lei – in cui Io non esistevo. C’era tutto un mondo di cui io non avevo idea, fatto di litigate, nomignoli, film visti al cinema e alla televisione, sudore.
Credo di aver commesso un errore molto grave spingendolo contro la porta. Con il senno di poi, non lo avrei schiaffeggiato. Sono sprazzi di consapevolezza che si ricompongono mentre ballo con Lei in attesa del taglio della torta.
Ma vederlo cadere all’indietro, seduto sul cesso, mi ha strappato una risata. Senza neanche un briciolo di allegria, solo rabbia e stupore per come gli argini erano crollati a causa di questo alieno stupito sulla tazza. Ma ridevo. Ridevo tenendomi lo stomaco, con le palpebre serrate, senza badare a Lui che nel frattempo si rialzava. È riuscito a darmi un pugno in bocca senza colpire il labbro, mentre io ridevo e ridevo. Un lavoro pulito.
L’incisivo può essere scivolato giù per l’esofago senza conseguenze oppure può averne lacerato le pareti. I succhi gastrici possono sciogliere un dente?
L’immagine che non riesco a togliermi dalla testa è però quella del dente che si ingrossa e diventa enorme, e diventa la Cosa nello Stomaco. Rimarrà lì.
Ovviamente Lei non era nel bagno. Stava scattando selfie insieme ai fratelli nel giardino del ristorante.

“E dove dovremmo sistemarlo?”
“Beh, ovvio. Al tavolo con i miei amici.”
“Sono anche amici suoi?”
“Ovviamente.”
“Chissà quante storie avranno da raccontarsi.”
“Su che cosa?”
“Su voi due.”
“Sono a un passo così dal graffiarti la faccia.”

Dovrei provare sollievo. Io però ho una Cosa Nello Stomaco. Un incisivo. Un tarlo.
Chiedo consiglio alla Cosa Nel Mio Stomaco e lei mi risponde che questo spettro non se ne andrà.
Il fotografo immortala il momento in cui Lei riconosce il sapore sbagliato della mia saliva. Con la lingua, esplora lo spazio vuoto tra l’incisivo centrale sinistro e l’incisivo laterale destro. Vorrei dirle che va tutto bene, che è solo una piccola parte di me a essersi persa. Un frammento. Ma non sarebbe onesto. Perché la Cosa Nello Stomaco è lì, ferma, e cresce.

Testo Flavio Torba
Illustrazioni Didì Gallese

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