Sposto il tavolo, allontano le sedie, tolgo il tappeto, lo faccio per lei.
Pulisco in terra, prima la scopa, poi lo straccio, tutto per lei.
Il resto della casa lo lascio com’è, a lei non interessa.
Scelgo le rose, una a una, rosse, con le spine, serve un po’ d’acqua, eccola.
Le ho detto che vivo da solo, mi ha chiesto da quanto.
Accendo il riscaldamento, non sento freddo, sempre per lei.
Le ragnatele sul soffitto, dimenticavo, sparite.
Le ho detto di non suonare, non fare rumore, non farsi vedere, è il nostro segreto.
Le mensole vuote, niente di troppo, i giornali sì.
In tasca la foto di lei, sembra giovane, è lo stesso.
Le ho detto di spingere la porta, di entrare, di chiuderla.
Scorro l’armadio, prendo il meglio, soltanto per lei.
Le ho detto di accendere la luce, ma dopo.
Mi ha chiesto se vedo qualcuna, ogni tanto.
Un paio di scarpe pesanti, sporche di fango, non le lavo.
In tasca un profilattico scaduto, fa niente.
Ho detto di essere puntuale, la notte, è importante.
Una tuta da lavoro, ma pulita.
Anche se c’è caldo il berretto.
Anche se ci vedo gli occhiali.
Spinge la porta, entra, la chiude, brava.
Mi chiama per nome, la chiamo per nome, accende la luce.
Non è poi così giovane.
Le allungo le rose.
Sposto il tavolo, avvicino le sedie, stendo il tappeto, questo dopo.
Pulisco in terra, passo la scopa, poi lo straccio, questo prima.
Prima ancora infilo il profilattico, entro, esco.
Scendo dal corpo.
Butto la foto.
Lo faccio per me.