Quando Gufo vide allontanarsi la cittadina di San Benedetto del Tronto – il porto di cemento, gli stabilimenti con gli ombrelloni davanti, la nuvola bianca dell’umidità – sentì improvviso un formicolio avvampargli in un sol tempo entrambe le braccia. Era salpato. Poi Achille ruttò forte accanto a lui e quella sensazione svanì di colpo dalla sua pelle. Achille aveva mangiato cipolla e, forse, formaggio fritto e non pensò di scusarsi, ma si accarezzò la pancia bruna e nuda, ancora senza peli ma per forma assai simile a quella di un uomo. Gufo rise coprendosi il volto con la mano. Si sentiva onorato di essere a bordo e, nella sua testa, aveva già preso forma l’idea che la sua vita, da quel giorno, sarebbe stata diversa.
“Benvenuto a bordo. Tieniti pronto, ragazzo,” pronunciò solenne facendo l’occhiolino in direzione di Gufo.
Gufo era figlio del professore e queste cose erano tenute ancora in alta considerazione da quella gente. Inoltre, durante l’intero anno scolastico, il ragazzo aveva aiutato Achille con i suoi compiti e così il figlio (un fannullone, a detta di molti) non era stato bocciato. Gufo ringraziò evitando lo sguardo diretto dell’uomo, poi, affascinato, ne seguì il movimento verso il posto di comando. La barca tornò muta e Achille si spostò a prua, seduto a indiano.
“Non così, guarda!”
Achille salì sul piolo più alto della balaustra e urlò svuotando i polmoni: “Bella ficaaaaaaaa”.
L’animale tremò tutto e, stimolato dalla voce del ragazzino, rilasciò nell’aria in un sol colpo il suo carico di suoni. In mezzo a quel gracchiare di voci straniere la manata arrivò improvvisa e silenziosa, da dietro.
Trattenne le lacrime e scappò via verso le reti senza guardare Gufo, il babbo lo seguì a grandi passi sicuri.
Gufo se n’era rimasto immobile mentre le sue braccia tornavano ad avvamparsi e in testa gli pulsava l’idea di dover fare qualcosa. Guardò le reti, guardò il bordo della nave. Guardò il pannello di controllo, guardò la cella frigorifera. I suoi piedi erano pesanti. Seguì con lo sguardo Achille e il babbo attendendo con timore un qualche ordine, finché non scomparvero dietro le reti ormai issate. Gufo tornò infine a guardare l’animale in acqua. Per qualche secondo cercò con la mente un modo per tirarlo a bordo, rimuginò anche sulle carte nautiche che aveva visto e fantasticò sul percorso delle meduse attraverso il Mediterraneo a favore di corrente. Sull’ombrello piatto dell’animale gli sembrò di rivedere la scena appena accaduta sul bordo del peschereccio. Poggiò i gomiti sulla balaustra e immaginò che nei tempi antichi gli uomini avrebbero sicuramente pensato di poter leggere il futuro sul corpo lucido di quell’animale, decifrandone i riflessi bizzarri e le voci. Sorrise a questa sua idea e si sentì sollevato.