“Alla tua età avevo sempre fame”
Avevo sette anni quando il nonno mi disse per la prima volta questa frase. E in effetti ero un bambino piuttosto schizzinoso. Non avevo molto appetito e dovevo sempre sforzarmi per riuscire a finire quello che mi mettevano nel piatto. In realtà, dovevo sforzarmi anche per riuscire a immaginare come facesse il nonno a ricordarsi quanta fame avesse lui a sette anni. E comunque, dopo avermi rimproverato, prendeva il mio piatto e mangiava gli avanzi. Giunsi alla conclusione che quella fosse la sua intenzione fin dal principio e che il nonno avesse sempre fame, a prescindere dall’età.“Alla tua età avevo sempre fame.”
Il nonno aveva ripetuto la frase, ammiccando e colpendomi col gomito nell’anca.
C’era la festa del paese, ultimi giorni di giugno. Avevo quattordici anni e, insieme agli amichetti, ammiravo il motorino nuovo di mio cugino Paolo. Accanto a me, due o tre ragazzine lo guardavano con gli occhi luccicanti. Non il motorino, mio cugino Paolo. Lui si pavoneggiava e ricambiava gli sguardi. Aveva già cominciato a interessarsi all’altro sesso e quella sera sarebbe andato a scoprire le gioie dei primi baci e palpeggiamenti dietro qualche cespuglio. Io no, invece. Io avevo occhi soltanto per il motorino, non per le ragazzine. Proprio per questa ragione il nonno aveva ammiccato e ripetuto la sua frase.
Avevo sette anni quando il nonno mi disse per la prima volta questa frase. E in effetti ero un bambino piuttosto schizzinoso. Non avevo molto appetito e dovevo sempre sforzarmi per riuscire a finire quello che mi mettevano nel piatto. In realtà, dovevo sforzarmi anche per riuscire a immaginare come facesse il nonno a ricordarsi quanta fame avesse lui a sette anni. E comunque, dopo avermi rimproverato, prendeva il mio piatto e mangiava gli avanzi. Giunsi alla conclusione che quella fosse la sua intenzione fin dal principio e che il nonno avesse sempre fame, a prescindere dall’età.“Alla tua età avevo sempre fame.”
Il nonno aveva ripetuto la frase, ammiccando e colpendomi col gomito nell’anca.
C’era la festa del paese, ultimi giorni di giugno. Avevo quattordici anni e, insieme agli amichetti, ammiravo il motorino nuovo di mio cugino Paolo. Accanto a me, due o tre ragazzine lo guardavano con gli occhi luccicanti. Non il motorino, mio cugino Paolo. Lui si pavoneggiava e ricambiava gli sguardi. Aveva già cominciato a interessarsi all’altro sesso e quella sera sarebbe andato a scoprire le gioie dei primi baci e palpeggiamenti dietro qualche cespuglio. Io no, invece. Io avevo occhi soltanto per il motorino, non per le ragazzine. Proprio per questa ragione il nonno aveva ammiccato e ripetuto la sua frase.
“Alla tua età avevo sempre fame.”
A me non importava. Ero uno di quei ragazzini che a quattordici anni pensano soltanto al calcio, ai videogiochi e ai motorini. Mio cugino Paolo, invece, aveva preso dal nonno. Aveva sempre fame e, nel giro di qualche anno, sarebbe diventato il donnaiolo del paese. Io non avevo preso dal nonno. L’estate successiva mi fidanzai con Lina, una ragazza secca secca e allampanata. Neanche lei aveva molto appetito. Inutile quindi che il nonno continuasse a ripetermi la sua frase tipica. Lui, però, la sera della festa era andato a dormire dalla vedova Basolo, la vicina di casa. Il nonno aveva sempre fame, a prescindere dall’età.“Alla tua età avevo sempre fame.”
Questa volta il tono della frase era più severo. Per il nonno non era ammissibile che suo nipote, a ventotto anni, rifiutasse un’offerta di lavoro così allettante. Trasferimento in una sede più grande, possibilità di far carriera, di arricchirmi professionalmente e non solo. Soprattutto quel “non solo” era alla base del rimprovero di mio nonno.
Mi aveva raccontato di quando, solo al pensiero di un aumento di stipendio, aveva accettato di dirigere l’ufficio di Scurcola Marsicana. Stesso motivo che anni dopo gli avrebbe fatto accettare l’incarico di consulente all’estero per l’azienda, destinazione delta del Niger. Il nonno aveva fame e la sua fame si era tramutata in case al mare e in montagna, barca a vela e molto altro ancora. Io quella fame non ce l’avevo. Nel mio ufficio stavo bene, andavo d’accordo con i colleghi. Non mi interessavano né gli aumenti di stipendio né le possibilità di crescita professionale.
A me non importava. Ero uno di quei ragazzini che a quattordici anni pensano soltanto al calcio, ai videogiochi e ai motorini. Mio cugino Paolo, invece, aveva preso dal nonno. Aveva sempre fame e, nel giro di qualche anno, sarebbe diventato il donnaiolo del paese. Io non avevo preso dal nonno. L’estate successiva mi fidanzai con Lina, una ragazza secca secca e allampanata. Neanche lei aveva molto appetito. Inutile quindi che il nonno continuasse a ripetermi la sua frase tipica. Lui, però, la sera della festa era andato a dormire dalla vedova Basolo, la vicina di casa. Il nonno aveva sempre fame, a prescindere dall’età.“Alla tua età avevo sempre fame.”
Questa volta il tono della frase era più severo. Per il nonno non era ammissibile che suo nipote, a ventotto anni, rifiutasse un’offerta di lavoro così allettante. Trasferimento in una sede più grande, possibilità di far carriera, di arricchirmi professionalmente e non solo. Soprattutto quel “non solo” era alla base del rimprovero di mio nonno.
Mi aveva raccontato di quando, solo al pensiero di un aumento di stipendio, aveva accettato di dirigere l’ufficio di Scurcola Marsicana. Stesso motivo che anni dopo gli avrebbe fatto accettare l’incarico di consulente all’estero per l’azienda, destinazione delta del Niger. Il nonno aveva fame e la sua fame si era tramutata in case al mare e in montagna, barca a vela e molto altro ancora. Io quella fame non ce l’avevo. Nel mio ufficio stavo bene, andavo d’accordo con i colleghi. Non mi interessavano né gli aumenti di stipendio né le possibilità di crescita professionale.
“Alla tua età avevo sempre fame.”
Così mi disse, tanto per cambiare, quando ereditai la casa della nonna, non la sua ex-moglie, l’altra nonna, quella che non aveva mai potuto sopportare.
“Vendi quella casa, finché vale ancora qualcosa. Hai trentacinque anni ed è ora che inizi a metterti dei soldi da parte. Io alla tua età avevo sempre fame.”
Io però ero molto affezionato a quella casetta. Mi bastava vederla in lontananza, arrivato al paese, per farmi tornare alla mente i ricordi di quelle estati interminabili, quando correvo dietro alle lucertole fino a perdere le forze, in attesa che il sugo di mia nonna finisse di cuocere lentamente sui fornelli. Ma vallo a spiegare al nonno.
Così mi disse, tanto per cambiare, quando ereditai la casa della nonna, non la sua ex-moglie, l’altra nonna, quella che non aveva mai potuto sopportare.
“Vendi quella casa, finché vale ancora qualcosa. Hai trentacinque anni ed è ora che inizi a metterti dei soldi da parte. Io alla tua età avevo sempre fame.”
Io però ero molto affezionato a quella casetta. Mi bastava vederla in lontananza, arrivato al paese, per farmi tornare alla mente i ricordi di quelle estati interminabili, quando correvo dietro alle lucertole fino a perdere le forze, in attesa che il sugo di mia nonna finisse di cuocere lentamente sui fornelli. Ma vallo a spiegare al nonno.
Testo: Fabrizio di Fiore
Immagini: Maria Garzo