23 Dicembre 2003
Ho sedici anni e sono un esploratore artico. Esploro gli abissi gelidi della mia mente e della mia stanza, cercando d’immaginarla come un’infinita distesa di neve su un mare di ghiaccio.
Accanto a me, attaccata alla parete, c’è una riproduzione del Naufragio della Speranza. Me l’hanno regalata per il compleanno, devo aver detto a qualcuno che mi piacciono i luoghi freddi.
E invece la detesto. Cerco di modificarla con la mente, trasformare il suo ammasso di sassi sporchi in una distesa bianca, fredda, deserta, come dovrebbe essere. Chiudo gli occhi e, a uno a uno, passo in rassegna i dettagli del quadro per ripulirli e levigarli.
Proprio quando i miei sforzi iniziano a dare i loro frutti e il paesaggio nella mia testa prende la forma che vorrei, mia madre mi chiama per cena. Mi alzo dal letto, accendo in fretta il computer e grido che sto studiando. Se verrà a controllare, mi troverà impegnato. Aspetto che la connessione sia pronta e mi iscrivo alla prima chatroom che trovo. Inserisco il nome utente ghiaccio87.
La sveglia, di plastica gialla, rotonda come un uovo, mi dà la nausea e la getto in fretta sotto il letto, assieme al tappetino rosso del mouse. Stacco l’orologio dal muro e lo butto nell’armadio. Il ticchettio mi innervosisce. Poi mi stendo sul letto, osservo il soffitto e cerco d’immaginarlo come un cielo da cui sta per nevicare. Chiudo gli occhi e assaporo la sensazione del freddo che dalle dita delle mani e dei piedi risale lentamente tutto il mio corpo e rende insensibile la mia pelle.
Senza ribellarmi mi lascio trascinare verso la porta, dietro i vetri appannati mi aspettano le compagnie ammassate ai tavoli, i colori caldi e sporchi della festa, il vocio ininterrotto degli ubriachi.
Forse è per questo che hanno iniziato a squadrarmi con diffidenza. Da quando siamo scesi per la tappa alla stazione di ricerca, ho sempre qualcuno attorno. Mi fanno domande di circostanza, fingono interesse, non mi perdono d’occhio. Gli organizzatori devono aver coinvolto i ricercatori della stazione, perché anche loro sono sempre nei paraggi. Ho sempre gente attorno. Non capiscono.
Il mare è vicino, ma l’ho visto tante volte e non voglio incontrare gli imbecilli mentre fanno le ultime foto prima della partenza. Ho un altro progetto.
Mi avvio verso il bungalow delle provviste, un piccolo rettangolo nero sprofondato nella neve. Faccio attenzione a seguire i tracciati lasciati dagli altri e a non lasciare impronte riconoscibili con i miei stivali. Davanti alla porta, mi guardo attorno in fretta, prima di tirare fuori la chiave che ho rubato nell’ufficio del climatologo. Faccio scattare la serratura e con un po’ di fatica apro la porta, entro e me la chiudo rapidamente alle spalle. Mi trovo in un corridoio angusto, fiancheggiato su entrambi i lati da scaffali pieni di provviste, attrezzi, abiti e scatoloni polverosi che nessuno apre da anni. Lo percorro fino in fondo, dove si trovano alcune cisterne di acqua potabile, casse di detergenti, macchinari e medicinali. Abbasso un poco la cerniera della giacca e libero le mani dai guanti per potermi muovere più agilmente.
Fra tre o quattro ore la nave sarà partita senza di me. Dopo che gli altri turisti se ne saranno andati, i ricercatori dovranno tenermi con loro e qualcosa imparerò a fare. È solo questione di resistere qualche altra ora.