La madre non risponde.
“Ehi, Mamma! Dov’è l’altro libro?”
La figlia chiude gli occhi, si tira indietro fino a sprofondare nel divano, e infila la testa fra i due grossi, gonfi cuscini. Sempre più giù, sempre più giù, fino a diventare invisibile, fino a non vedere più nulla. Se rimango così abbastanza a lungo, pensa, forse prima o poi sparirò. Devo solo rimanere immobile finché non succede.
Ma lo pensa da quando aveva cinque anni e non ha mai funzionato. Sua madre sicuramente è ancora seduta là, con lo sguardo assorto.
Risponde solo: “Tanto non lo leggi, non ci sono figure in quello”.
Poi: “Ci sposiamo, io e Paolo. Domani ti porto da papà e rimani con lui. Non guardarmi in quel modo, non puoi stare con noi. Papà si porta una ragazza ogni tanto, non gli dai nessun fastidio, e di certo non se le sposa. Puoi portarti dietro i tuoi giochi. E di tanto in tanto verrà una donna per occuparsi di te”.
“Se non mi avessi sempre trattata come un’idiota adesso non sarei così deficiente”, dice la figlia fra i cuscini.
L’ha detto sua sorella una volta, mentre litigava con la madre: “Se non l’avessi sempre trattata come un’idiota adesso non sarebbe così deficiente”.
Non ha capito quella frase, ma le è piaciuta.
Allora ha cominciato a ripeterla: “Se non mi avessi sempre trattata come un’idiota adesso non sarei così deficiente”.
Ogni volta che litigano, o che sua madre ce l’ha con lei, ripete la frase.
“Se non mi avessi sempre trattata come un’idiota adesso non sarei così deficiente”, ripete per l’ultima volta.
“Mi sono occupata di te per trent’anni – dice la madre – Ora semplicemente non ce la faccio più”.
“Mi dispiace”, aggiunge, ed esce dalla stanza.
Immagine: Lucia Mattioli