Mentre entravo nel quarto mese di gravidanza – che tempismo, che bestia feroce la memoria – ho cominciato a cadere nei miei ricordi.
Tutti cenavano rumorosamente, una sera d’estate, a casa nostra, e io faticavo a guardarli e a respirare.
Quando intorno a me ogni cosa e ogni persona iniziò a perdere peso e a ruotare lentamente, barcollai fino al giardino e non rientrai più. Allora gli altri lasciarono i piatti ancora pieni e mi raggiunsero.
È la gravidanza, può capitare di tutto, sai?”, diceva il loro coro incerto.
Luca annuiva. Sapevo che non sarebbe finita lì, ma ci sperai lo stesso.

Al sesto mese arrivarono i primi regali. Tutine, copertine, bavaglini. Tutto bianco e giallo, perché Luca non voleva sapere il sesso e io, a quel punto, non volevo sapere più nulla. Non volevo nemmeno toccarle quelle cose, mi accorsi che non ci riuscivo. Allora lo feci in sogno, una mattina, nel letto caldo del sole già alto.
Si è rotta Eva.
Mi aspettavano al risveglio, perfettamente vigili, quelle parole zittite da che ero bambina. Il tessuto fresco delle tutine che avevo sognato di accarezzare mi scivolò dalle dita. Mi alzai gonfia, vomitai, poi uscii a passeggiare.
Giorno dopo giorno, Luca imparò a non farmi domande. Lievitavo indispettita da quello che mi cresceva dentro e facevo di tutto per non parlarne. Raramente, accorgendosi che trattenevo il respiro, Luca allungava una mano sulla mia pancia per sentire suo figlio scalciare. L’ultima volta eravamo sul divano, guardavamo un film piuttosto stupido e io credevo che lui stesse dormendo. Invece mi toccò in silenzio, con gli occhi chiusi.
Realizzai che non averlo sentito scusarsi, subito dopo, mi aveva lasciata piuttosto sorpresa.

Quando non fui più in grado di piegarmi mia madre tornò dalla Francia.
È difficile?”
“Per te come è stato, mamma?”, non la guardavo.
“Difficile, con te. Meno con Eva.”
Parlò come se avesse dimenticato di averla pianta, Eva, e di averla dovuta seppellire. Lo fa sempre.
caterina scaramelliniUn mese più tardi tenevo in braccio mio figlio, per la prima volta dentro la nostra casa. Eravamo soli, io e lui e lo dissi: “Eva si è rotta”. Lui mi dormiva tra le mani, su una spalla.
Eva si è rotta. Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla forma tonda della sua nuca nel mio palmo, sul calore che dava alla mia pelle. Pensai a mia madre in quel pomeriggio tiepido. Rividi entrambe, “me bambina”, e lei giovane e mora, lei bassina e tonda, ma in qualche strano modo imponente, piantata davanti alla finestra.
Non ricordo i suoni, non ne vennero per un po’, mi pare. Non vidi mai cosa era accaduto oltre il vetro, solo la sedia, che mi disse tutto quello che dovevo sapere. Una sedia vuota davanti a una finestra aperta. E mia sorella scomparsa e mia madre immobile. Immobile e zitta, come una settimana prima quando io avevo fatto cadere la lampada in salone. Ma questa volta non è colpa mia – pensai rincuorata lì per lì- È caduta Eva e si è rotta, e non lo dissi mai ad alta voce.

Mi portarono via e non ci fu traccia di mia madre per giorni, pensai che non sarebbe più uscita dalla stanza di Eva.
Con il bambino addosso, più vecchia di trent’anni, ascoltai chiedermi: “Hai ancora paura?”.
Respirando con lui, dopo un po’, ammisi di sì. Ci addormentammo insieme.

Testo: Claudia Farini
Illustrazione: Caterina Scaramellini

 

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