Sento il mio destino avvicinarsi inesorabile e infrangersi in mille pezzi. Da qualche giorno ho questo presentimento. C’è tensione nell’aria. La si potrebbe tagliare con la mannaia adagiata accanto a me nello scolapiatti. Loro ormai gridano, imprecano e si arrabbiano continuamente, anche quando sono soli. Negli ultimi tempi, ho visto cadere vittime illustri: il vaso di ceramica ricevuto in dono lo scorso Natale, il cabaret di vetro per il pesce o quello spiedino che, ancora conficcato nella porta della dispensa, penzola come una banderuola ed è utilizzato per applicarvi messaggi alla stregua di un fermacarte.

Non hanno avuto pietà neppure per i cristalli di Boemia, quindi escludo che possano mostrarne nei confronti di un banale piatto da portata della mia specie, omaggio del minimarket di fiducia a seguito di una spesa di valore superiore ai 10 euro.
Tra le posate si dice che in salotto vi sia stata una carneficina di soprammobili e che la camera da letto sia diventata simile a un rottamaio: qui in cucina la contesa sembrava invece essersi placata, ma proprio questa quiete potrebbe preannunciare un’improvvisa bufera e non fa che accrescere la mia ansia. Proprio ieri, un bicchiere ha sorvolato il mio spazio aereo, precipitando sullo schermo del televisore con conseguenze irreparabili per entrambi. Molti amici sono già periti sul campo nell’espletamento della loro nobile funzione, dunque non resta che attendere.
Prima o poi giungerà il mio turno e non sono certo se preferisca frantumarmi a terra, sulle lucide piastrelle del pavimento della cucina, oppure essere sfracellato in volo contro la parete.
Quale sarà il mio destino? Glorioso o mediocre? Questo è il solo dubbio che mi tormenta.

Adesso stanno parlando davanti a noi. Ho paura. Sudo gelide gocce di risciacquo che percorrono la superficie della mia finta porcellana e cadono dal bordo inferiore, tristi lacrime di addio.
Quasi per cercare un insperato sostegno morale, guardo gli altri piatti intorno a me tintinnare terrorizzati. Il tono della conversazione, intanto, pare salire ad ogni scambio di battute.
Lei accusa e Lui ribatte, poi la discussione si capovolge con Lui che rinfaccia e Lei che si giustifica. Credo che la situazione possa precipitare da un momento all’altro. Non qui, non qui vi prego.
Non ho neppure il tempo di celebrare gli scongiuri di rito che mi sento afferrare dalla mano leggiadra di Lei. Mi punta verso il volto di Lui intimandogli il silenzio. Mentre Lui temporeggia, allontanandosi in direzione del salotto, io mi lascio sfuggire uno spontaneo sospiro di sollievo, ma Lei lo segue imperterrita e mi porta con sé. Non vedo l’ora che il supplizio abbia fine. Cosa aspetti a gettarmi?
Lui ora cerca di negoziare ma Lei sferra improvvisamente il colpo. Esplode un acuto grido d’isteria e mi scaglia con tutta la forza che ha in corpo.
Sto roteando in aria e vedo scorrere davanti a me una misera esistenza votata al servizio alimentare. I miei primi ricordi risalgono al supermercato e all’ultimo periodo trascorso lì, prima di essere stivato in un carrello in vista di un lungo viaggio. Quando venni estratto dal cellophane, la mia placenta, non avevo ancora capito quale fosse il mio posto al mondo. Lo scolapiatti, con tutte le confidenze e i dissapori che possono esistere in un ambiente così ristretto. Lì mi procurai la mia prima sbeccatura. Mi ci sono affezionato come ognuno fa con le vecchie cicatrici, ricordandosi il male perché serva di lezione.
Così ricordo anche alcune pietanze servite in tavola senza farle raffreddare, quel bruciore doloroso e piacevole al tempo stesso. Quante emozioni, quante sensazioni…

Mentre sono in volo, diretto a tutta velocità contro la fronte di Lui, cerco di immaginare quale sarà la prossima sensazione, quella subito dopo lo schianto. Lui, però, si sposta con un movimento felino e io atterro morbidamente tra i cuscini del sofà, con immenso disappunto della focosa discobola. Nonostante lo scampato pericolo, non riesco a sentirmi rassicurato e, forse, avrei preferito che fosse già tutto finito, che le mie paure si fossero dissolte in uno schianto. Invece, il fato ha voluto concedermi la grazia. Sono salvo, per adesso. Il futuro però cosa mi riserverà?
Intanto, si torna in cucina. Lui mi sciacqua velocemente prima di rimettermi a posto e, solo in questo momento, si accorge che mi sono ferito. Ho una sbeccatura sul bordo, molto più vistosa di quella di gioventù. Probabilmente ho urtato qualche mio compagno mentre Lei mi tirava fuori dallo scolapiatti. Lui osserva la lesione, ci passa sopra il dito, la ricontrolla da vicino. Potrebbe pensare che io non sia più abile al lavoro e decidere di relegarmi nella piattaia. Per me sarebbe davvero un sollievo.
Niente da fare. Non sono abbastanza fortunato. Lui mi asciuga e mi rimette nello scolapiatti. Torno tra i miei compagni. Gli altri piatti si stringono intorno a me con un abbraccio collettivo. Tutti mi guardano come se fossi un miracolato. Neppure la loro solidarietà, però, riesce a tranquillizzarmi. La nostra vita qui sarà sempre in bilico. Questo non è l’ambiente in cui far crescere dei piattini.

E, infatti, loro due hanno già ricominciato a discutere. Proprio a causa mia, questa volta. A Lei non sembra il caso di tenermi in mezzo ai piatti ancora illesi. Mi agita davanti agli occhi dell’altro mostrandogli le mie sbeccature. Che figura farebbero se, per sbaglio, finissi in tavola quando ci sono ospiti. Lui replica che di ospiti, in questa casa, non se ne vedono da parecchio tempo. Continuano a litigare. Lei non vuole sentire ragioni e Lui… no, non dirle così, stolto. Fa appena in tempo ad abbassarsi quando Lei mi lancia contro di Lui per la seconda volta. Mi vedo già proiettato verso la vetrinetta alle sue spalle e penso che oggi dev’essere proprio il mio giorno. In questo momento, vorrei essere leggero come un piatto di carta e volare all’infinito, volare via lontano, lontano da questa casa.

Testo: Fabrizio Di Fiore
Immagine: Margareta Nemo

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