(proverbio popolare)
Stavo interi quarti d’ora immobile, con le gambe fisse davanti alle gabbie, ad ascoltare quelle bestie. Preso come da un’ipnosi non cercavo davvero un senso, ero troppo giovane per farlo, ma mi rapiva l’assoluta casualità con cui i rumori, una volta ripetuti di seguito, un’altra volta dilatati nel silenzio, segnalavano una vita che c’era, ma si vedeva poco, e non faceva nulla di più che mangiare, bere, rumoreggiare.
Non ci fu un solo coniglio che rimase fermo. I più giovani, anche quelli che stavano nelle gabbie più alte, saltarono giù subito senza alcuna paura. Quelli più anziani esitarono per pochi secondi ma dopo seguirono gli altri con la stessa impazienza. Nell’atterraggio tutti perdevano la posizione di equilibrio e per qualche istante grattavano le zampe contro il cemento del pavimento, ma poi riacquistavano l’assetto da corsa e in un lampo erano fuori dal casotto. Mio nonno, che in quel momento era nella vigna, si accorse subito della fuga di tutte le sue bestie e, messosi di fronte all’entrata del casotto, riuscì a catturare e a rimettere nelle gabbie gli ultimi conigli scappati.
Poi, urlando “I conigli! I conigli!” aveva cominciato a inseguire gli altri che correvano all’impazzata nella vigna, nell’orto, in tutto il giardino attorno alla casa, travolgendo lungo la loro strada foglie di vite, fiori, insalata, piante di pomodori. Uscito dal casotto dopo mio nonno, ero rimasto a pochi passi dall’entrata osservando immobile quegli animali rapiti da una specie di fuoco pazzo, come se tutto il desiderio di movimento che era in me fino a pochi attimi prima fosse stato trasmesso a tutti loro nel gesto di aprire le gabbie. Il mio corpo era completamente fermo, solo la testa si muoveva da destra a sinistra e da sinistra a destra per cogliere ciò che stava accadendo, mentre la bocca si apriva ai lati in un sorriso sempre più largo.
Per prenderlo non serve inseguirlo. Basta aspettare che non si muova, trovi un riparo e si tranquillizzi. Poi, una volta immobile in quella che per lui è la sua nuova tana, basta avvicinarsi silenziosi da dietro e afferrarlo di scatto. Mio nonno aveva cominciato a rincorrerne alcuni. Resosi meglio conto della situazione si era fermato, aveva atteso che anche i conigli si rifugiassero in qualche anfratto e con quel metodo ne aveva catturato qualcuno. Altri però non si fermavano e continuavano a correre. Vista dall’alto quella scena poteva sembrare il movimento consueto di una manciata di formiche, con un formichiere che lento si avvicinava per catturare le meno svelte. Dal giardino la mia attenzione si era spostata sul lavoro di cattura di mio nonno oltre che sulla corsa folle degli ultimi conigli, e il sorriso crescente si era congelato in un’espressione gioiosa, ma fissa.
Li avevo contati e dopo avere finito la conta mi ero concentrato sul coniglio tra i pomodori e sui movimenti esperti di mio nonno. Le sue mani erano a pochi centimetri dal corpo del coniglio quando dall’altra parte del giardino, a ridosso del muretto di recinzione, un tonfo sordo – il botto di un pugno che sbatte deciso sulla cassa toracica – aveva attirato la mia attenzione.
Un coniglio, uno dei due che correvano all’impazzata, aveva sbattuto la testa contro il muro ed era rimbalzato all’indietro finendo steso nell’erba a pancia all’aria, morto.
Urlai. Mio nonno si voltò correndo verso il coniglio. Per non vedere più l’animale morto voltai la testa dall’altra parte. E mentre mi giravo, vidi l’altro coniglio correre a gran velocità gli ultimi metri in prossimità della recinzione e andare a sbattere violentemente e senza alcun tentativo di frenata contro il cemento grigio del muretto, lasciandovi un segno di sangue rosso e rimbalzando come l’altro coniglio nell’erba, a pancia in aria. Osservai così bene la scena che notai, pochi attimi dopo lo stesso tonfo di prima, il corpo del coniglio tendersi nello spacco di fiato che avviene poco prima della morte e poi abbandonarsi inerte, nel volo di rimbalzo verso l’erba. Ma non feci in tempo a chiudere gli occhi, perché anche i tre conigli che erano fermi ripresero a correre follemente creando davanti a me un vortice di zampe che slabbravano il terreno. Uno dietro l’altro, acquistata la massima velocità, andarono a schiantarsi contro il muro della casa, contro quello del casotto e ancora contro il muretto di recinzione che aveva ucciso il primo coniglio. Tre tonfi uno dietro l’altro, poi il silenzio.
Dopo quel giorno i conigli vennero macellati e venduti uno a uno. Nel casotto non ne tenemmo mai più.