Li Ciddì Invisibili presenta
ARTISTA: Nick Name & The Bad Signs
DISCO: Raining Sadness
ETICHETTA: Gloomy Records
ANNO: 2013
GENERE: Depressing, Sorrowful, Dull-Cloudy,
VOTO: 4
Vi piace sentirvi tristi? Se volete davvero sprofondare nelle grigie giornate autunnali, ciò che vi serve è un sottofondo musicale adatto. Questa, almeno, sembrerebbe essere la risposta del web: solo così ci si può spiegare il successo che Raining Sadness, album d’esordio degli inglesi Nick Name & The Bad Signs, ha riscosso nell’ultima settimana tra blog vari e siti di settore. Se il record di ascolti su Trainspottify (la playlist per l’umore di chi guarda i treni passare) ha fatto subito parlare di “incredibile fenomeno mediatico” o di “comunità della rete che soppianta la grande distribuzione”, radio e televisione sembrano invece snobbare la band inglese, forse ritenuta non adeguata al loro pubblico. Che gli utenti di internet siano più propensi a intristirsi? Probabilmente sì. Basta “sfogliare” un qualsiasi social network per accorgersi di quante persone vogliano condividere le lagne malinconiche e piagnucolose di Nick Name e compagni, quei Bad Signs che già dal nome danno un’idea di malaugurio.
Si dice che i quattro ragazzi, cinque con Nick, si siano conosciuti agli incontri del Mood Disorder’s Centre di Londra, ma potrebbe trattarsi di un’idea della casa discografica per consolidare la loro posizione nel genere musicale depressing. In realtà, pare che fino a ora nessuno sappia neppure che faccia abbiano. L’unica apparizione live della band, pubblicizzata come sempre tramite internet, ha visto accorrere migliaia di persone che si sono trovate davanti a una “silent performance” (musica mimata) da cui non si è potuto comprendere se quegli anonimi giovanotti sul palco fossero davvero Nick Name & The Bad Signs o se si trattasse dell’ennesima trovata mediatica della Gloomy Records. La sola cosa certa è che, fino a un mese fa, nessuno aveva mai sentito parlare di questa band e, sinceramente, non se ne sentiva la mancanza.
Tre chitarre acustiche e un violino, niente fiati né percussioni che rischierebbero di dare alle canzoni un ritmo troppo allegro. Di sicuro, non si adatterebbero al tono di voce di Nick Name, al suo rauco mugugnare, quel bisbigliare sospirato che fa impazzire folle di depressi autolesionisti. Tutti i fans di questa band emergente sostengono di essere affascinati dai loro testi. “Bellissimi e poetici”, ho sentito dire a qualcuno. Basta quindi scrivere strofe tristi per essere definiti poetici? Qualche esempio: il ritornello di “Grey Snow” è “la neve grigia che mi raffredda il cuore”, oppure “ho salutato il tuo sorriso, quando lo rivedrò?” recita quello di “Bye Bye Smile”.
Qualcun altro ha detto che la loro musica trasmette una sensazione di pace: lo credo anche io, la pace eterna. A dire il vero, il valore artistico di Nick Name & The Bad Signs è pari a quello poetico dei testi, vale a dire che tra musica e parole non saprei quali definire più deprimenti. Fin dal primo ascolto, le canzoni si assomigliano tutte, dalla title track “Raining Sadness” all’ultima traccia, “Born Bored”, tutte insulse come “Tired To Be Myself”, che può essere ormai definito il tormentone di ottobre.
“Dead River” è appunto un fiume senza capo né coda di frasi disperate che inneggiano al suicidio di massa. “Gothic Dance”e suona come una danza macabra, da ballare restando immobili. Denotano, invece, un certo livello culturale i riferimenti alla poesia italiana, come nei brani “Montale is My Friend” e “Pain of Living”.
“Dead River” è appunto un fiume senza capo né coda di frasi disperate che inneggiano al suicidio di massa. “Gothic Dance”e suona come una danza macabra, da ballare restando immobili. Denotano, invece, un certo livello culturale i riferimenti alla poesia italiana, come nei brani “Montale is My Friend” e “Pain of Living”.
Dunque, torno al mio commento iniziale: se in questo periodo dell’anno la gente ha bisogno d’intristirsi, ben venga ogni aiuto in tal senso, ma non spacciatemi gruppi del genere come “avanguardia che sfugge alle leggi del mercato musicale.”
Testo: Fabrizio Di Fiore
Immagine: Bernardo Anichini