Dicono che lo smarrimento del portafoglio manifesti un’inconscia volontà di perdita dell’identità, ma, di preciso, non saprei attribuire questa teoria a una specifica scuola di pensiero psicanalatico. Di certo non si può trattare di una freudiana, che associa il portafoglio/portamonete alla vagina (in quanto luogo prezioso dove si ripongono le cose) e dice anche che si perdono le cose che non ci piacciono più. Eppure non sono così sicuro del fatto che avessi voluto perdere quel portafoglio di proposito, se non fu piuttosto un inciampo, una svista, frutto della mia distrazione o se fu volontà di rinnovamento o un autentico caso.
Questi luoghi del potere – lo dico di passaggio – mi lasciano sempre un po’ stupito: è come se la realtà si scontrasse con l’idea di macchina perfetta. Sono in verità dei luoghi caotici dove arrivano di continuo segnalazioni per lo più inutili e per farsi un’idea d’insieme basta considerare le sale d’aspetto, piene di anziani che raccontano le loro personali storie a chiunque, l’importante è che ci sia un pubblico, e il pubblico, in quel caso, ero io. Sono storie e quindi vite, le loro, che forse meriterebbero di essere scritte, ma non mi va. Lasciai la stazione dei Carabinieri con la mia rinnovata identità, confermata da un foglio di carta prestampato.
Pensai che fosse meridionale, per l’accento, e che lì non facevano altro che far finta di lavorare, tutte le ore per tutti i giorni. Io gli dissi che avevo ricevuto quel giorno la nuova patente e che la carta d’identità ero andato a rifarla il giorno prima in Palazzo Vecchio in modo da superare la trafila dei due testimoni. Il burocrate dell’anagrafe mi aveva disprezzato perché leggevo Herman Hesse e avevo una camicia. Io ero rimasto impassibile.
L’impiegato guardò la robaccia che tenevo nel portafogli e mi disse che quello che autorizzava la donazione dei miei organi, in caso di morte, potevo riaverlo lo stesso, anche se era contro il regolamento; questo lo sussurrò con un tono quasi confidenziale, come un carbonaio sudista etico. E quella era l’apertura di un varco.
Forse prima che me ne andassi l’impiegato trovò il tempo di farmi un’ultima raccomandazione, del tipo: non perdere mai più il tuo portafogli, oppure di passare di lì nel caso avessi perso qualcosa, qualsiasi cosa, quasi avesse piacere che ci rivedessimo, non so, forse me lo immagino.
Simo