Fosco uscì in veranda con una Peroni. Tirò fuori il pacchetto morbido di sigarette dal fondo della tasca posteriore dei jeans. Ci si era seduto sopra per tutto il giorno, gran parte delle sigarette era da buttare. Fece tutto con una sola mano, maldestramente, eppure riuscì a scovare una sigaretta sana nel pacchetto. Puntò dritto verso il tavolino al centro della veranda. Si mise a sedere, accavallò le gambe magre e tese all’insù il piede. Si rese conto di avere una ciabatta rotta. Si attaccò alla bottiglia e non ci pensò più.
Fumava e guardava lontano, oltre il campo di soia dei Catarin, verso la statale, quando si accorse che un tale avanzava a piedi lungo il sentiero. Scacciò via il fumo da davanti agli occhi e si alzò per guardare meglio. “Non l’hai letto il cartello? – disse in cagnesco – Questa è proprietà privata”.
“Sono io – rispose il tale, fermandosi a metà strada – Gianni”.
“E com’è che sei a piedi? – gli chiese – La Giovi t’ha portato via pure la macchina?”.
Gianni, ancora fermo sul posto, non rispose. Era un tizio basso e tozzo, la faccia rotonda, i capelli neri e lunghi; addosso un paio di pantaloni marroni e una maglietta che gli andava troppo stretta sui fianchi. Fosco lo fissò per un po’ in silenzio. Gli faceva una gran pena, lì impalato con quell’aria da idiota.
“Vieni a sederti – gli disse poi, scuotendo la testa – Con ‘sto buio sembravi un negro”.
Gianni attraversò il vialetto e prese posto dall’altra parte del tavolino. Fosco lo guardò bene in faccia: triste e pallido.
“Che ci sei venuto a fare qui a quest’ora? – chiese – sappi che non ti posso coprire a lavoro, bello mio, c’ho da fare domani. Devo andare da mia madre. Hanno detto che c’ha qualcosa ai polmoni, non ho capito cosa”.
“Stai alla larga dalla Giovi”, gli disse Gianni prima di sprofondare in un silenzio desolante.
Fosco si lasciò cadere di peso sullo schienale della sedia.
“Profumi come una candela, ma te lo chiedo comunque – disse – sei ubriaco, per caso?”.
“Sei un brutto bastardo, Fosco – piagnucolò Gianni – Lo sapevano tutti giù al bar della stazione. L’unico scemo che non ne sapeva niente ero io”.
“Non ne sapevi niente perché non c’è niente da sapere – disse Fosco – E poi scusa, ma che ci facevi al bar della stazione? Sei andato a giocare con le slot? Ti sentivi giù di corda e ti sei attaccato alle slot?”.
“Non c’ho giocato, Fosco – rispose Gianni – Voglio solo che stai alla larga da mia moglie, hai capito?”.
“Ex moglie, se permetti.”
“Ho tutto il diritto di chiamarla ancora mia moglie, d’accordo?”.
“Non funziona così il divorzio, bello mio.”
“Non sono venuto a discutere con te di come funziona il divorzio, Fosco.”
“Per carità, dicevo per dire – disse Fosco – Comunque non ti fa mica bene passare tutto quel tempo a giocare con le slot. Non fa bene a nessuno, a dire il vero. Dovrebbero vietarla quella roba nei bar”, disse Fosco.
“Non c’ho giocato, d’accordo? – disse Gianni – Possiamo lasciar perdere ‘sto fatto delle slot per un momento?”.
Fosco mandò giù un sorso di birra, poi asciugò le labbra sulla manica della camicia.
“Se non c’hai giocato, meglio così – disse – Ma se per caso c’hai giocato, allora peggio per te”.
“T’ho detto che non c’ho giocato – disse Gianni, schiacciando una manata sul tavolino – Voglio solo che la smetti di andare a letto con la Giovi, hai capito?”.
Fosco appoggiò la Peroni ai piedi della sedia e si girò di tre quarti verso di lui.
“Stammi bene a sentire perché non ho intenzione di ripeterlo – disse – Non mi scopo la tua ex moglie, chiaro?”.
“A me hanno detto che ci vai a letto, Fosco”, piagnucolò Gianni.
“Ti sei fatto fregare come al solito – disse Fosco – Credi sempre a tutti ma non credi mai a quello a che ti dico io”.
“Non ci casco, Fosco – disse Gianni – So bene che vi incontrate di nascosto, a casa di sua madre”.
“Balle, non ci ho mai messo piede in casa di sua madre – disse Fosco – Mai ficcare il cazzo nei divorzi, diceva il mio vecchio”.
Rimase assorto nei suoi pensieri per un attimo.
“Quel maledetto la sapeva lunga”, aggiunse poco dopo.
“Ma se t’hanno visto?”, disse Gianni.
“E chi è che mi avrebbe visto? – disse Fosco – Avanti, sono proprio curioso”.
“Eh, non te lo dico”, disse Gianni, faceva di no con la testa come un bambino. “Se ti dico chi me l’ha detto tu gli vai a spaccare il muso così quello impara la lezione, così capisce che doveva farsi gli affari suoi anziché andare in giro a raccontare quello che fai te ogni notte.”
Fosco lanciò la sigaretta nel vialetto.
“Ma tra tutte le donne che ci stanno al mondo, perché sarei dovevo andare a pescare proprio la Giovi?”, disse.
“Perché sei un brutto bastardo e non te ne frega di niente e nessuno – disse Gianni – E poi perché la Giovi t’ha sempre fatto sangue. Al matrimonio le hai pure toccato il culo, me l’ha detto lei. Io non t’ho detto niente perché sei sempre stato come un fratello per me, ecco, e poi perché non volevo avere problemi”.
“D’accordo, le ho toccato il culo – disse Fosco, alzò le braccia in segno di resa – Ma era per ridere. Insomma, ero ubriaco, ero felice per te. Era per ridere, dai”.
“Io mi credevo che eri il mio migliore amico – biascicò Gianni – Sei un brutto bastardo, Fosco, un brutto bastardo che non fa altro che mentire”.
“Se non mi credi me ne farò una ragione – disse Fosco mentre cercava un’altra sigaretta sana nel pacchetto – Ho di meglio a cui pensare”.
“Sei un brutto bastardo, Fosco – disse ancora Gianni – Non voglio più avere a che fare con un bastardo come te”.
“E quindi che farai d’ora in poi? – disse Fosco – Te ne andrai in giro con Toni dell’osteria? Comincerai a vederti col Cicca? Quel maledetto s’è sposato tua sorella solo per fregarti il posto nell’azienda di famiglia, te ne rendi conto, vero?”.
“Smettila, Fosco, di questa storia ne abbiamo già parlato troppo”.
“E che mi dici di Michele Fassa? Non dirmi che te ne andresti in giro con quella mezza sega di Michele Fassa, ti prego”.
“Michi è un brav’uomo, va sempre in chiesa e non fa mai storie a lavoro.”
Fosco mise in faccia un sorrisetto disgustoso: “Così è stato Michele Fassa a dirti tutte ‘ste cazzate, vero?”.
“No, no, non è stato lui – disse subito Gianni – È stato un altro, uno che non conosci. Uno che guida i camion da qui fino in Tunisia. Ti assicuro che non lo conosci, Fosco”.
“Pensa un po’, Michele Fassa – disse Fosco – Mica posso prendermela con Michele Fassa, che diavolo”.
“Ah no? – fece Gianni – E perché?”.
Fosco si diede due colpi alla tempia col dito.
“Non so se capisci che intendo.”
“Ah sì?”, fece Gianni.
“È mezzo matto, fidati. Apre la porta di casa ogni due ore per fare entrare lo Spirito Santo, dimmi un po’ se ti pare normale uno così.”
“Non mi pare tanto normale, in effetti – disse Gianni – Comunque a me sembra una brava persona. Mica è una brutta persona Michele Fassa, no?”.
“Mica è cattivo, infatti – disse subito Fosco – Solo è un po’ matto, ecco”.
Gianni parve confuso: “Ma allora perché avrebbe dovuto dirmi che t’ha visto uscire da casa di sua madre alle due di notte?”, si chiese per le sue.
“E che ne so io? Lascialo perdere a Michele Fassa, si sarà confuso come al solito.”
Gianni ci pensò su: “Sul serio non gli spacchi il muso?”, chiese poi.
“Sul serio”, disse Fosco.
Rimasero in silenzio per un po’ a guardare le auto che passavano lungo la statale. Un grosso camion viaggiava a tavoletta lungo il rettilineo, qualche teppista aveva disegnato a bomboletta un grosso pisello stilizzato sulla fiancata del rimorchio. Fosco sbirciò Gianni con la coda dell’occhio per vedere se anche lui se n’era accorto: scoprì che piangeva.
“Che c’hai adesso?”, disse Fosco.
“Mi manca tanto, Fosco – disse Gianni – Non ci posso fare niente”.
“Vai sotto al cavalcavia e fatti fare un massaggio da Luana, no? – disse Fosco –Vedi che poi ti passa”.
“Non credo – disse Gianni – Non credo proprio”.
“Toglitela dalla testa, Gianni – disse Fosco – Secondo me hai schivato una pallottola, sai come si dice, no?”.
“Il fatto è che a me va pure bene questo fatto di farmene una ragione – disse Gianni – Mi va bene pure che c’ha già uno con cui andare a letto”.
Si asciugava la faccia con le mani.
“Ma se sei te allora io m’ammazzo.”
“Non dire ‘ste cazzate che mi fai imbestialire – sbottò Fosco – Quando dici queste cazzate mi viene voglia di prenderti la faccia e spaccartela a testate”.
“La smetto solo se tu mi convinci che non vai a letto con la Giovi”, disse Gianni.
“Ma non te lo sei ancora messo in testa?”
“Sì, cioè, forse no – disse Gianni – Non lo so”.
“Sei una seccatura, una dannata seccatura – disse Fosco, crollando le spalle – Non mi scopo la tua maledetta ex moglie. Come faccio a fartelo capire?”.
“Non lo so, Fosco – disse Gianni – Pensavo che forse se me lo giuri mi sento meglio”.
Fosco lo guardò dritto negli occhi: “Sei una seccatura – gli disse – Una dannata seccatura”.
Gianni prese a guardarsi attorno, come in cerca di qualcosa con cui distrarsi.
“È tutto un casino, adesso”, disse.
“Andiamo, Gianni, amico mio – disse Fosco, gli diede di gomito sul braccio –Dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, come puoi pensare che io possa farti una roba del genere?”
“Io non ti credo, non ci riesco, Fosco.”
“E che ci posso fare? Dimmi che posso farci.”
“Puoi giurare, Fosco”, disse Gianni.
Fosco si schiarì la voce: “Senti – disse – Lo sai che non sono bravo a dire certe cose, ma insomma, sei l’unico buon amico che ho”.
Gianni tirò gli occhi fuori dalle orbite.
“E non mi guardare così – gli disse subito Fosco – Se mi guardi così mi mandi in bestia. Guarda da un’altra parte che sennò ti piglio a pugni in faccia”.
“D’accordo, Fosco”, disse Gianni, voltandosi dall’altra parte.
Fosco si prese un istante. Si guardò le mani.
“Dicevo, sei un po’ scemo, mi mandi in bestia quanto un prete, devo sempre prestarti soldi e cose del genere, ma alla fine non importa. Perché io e te ce la passiamo, no?”
“Ce la passiamo, è vero”, disse Gianni senza guardarlo.
“Insomma, capisci quello che voglio dirti, no?”
“Ho capito, Fosco”, disse Gianni.
“Bene – disse Fosco – L’importante è che hai capito. Adesso la smettiamo con questa storia della Giovi, per favore? Mi dispiace che ci soffri e tutto il resto, ma ora basta, d’accordo?”.
“D’accordo, la smetto.”
“Bene – disse Fosco – bene”.
Si alzò dalla sedia.
“Che fai?”, gli chiese Gianni.
“T’ho detto che c’ho da fare domani, te lo sei scordato?”, disse Fosco raccogliendo la Peroni dai piedi della sedia.
“Ah, giusto – disse Gianni – Mi dispiace per tua madre, spero non sia niente di grave”.
“Chissene importa – disse Fosco – Chissene importa”.
Poi disse che era stanco, che aveva solo voglia di stendersi. Quindi salutò di fretta Gianni e si trascinò in avanti lungo la veranda facendo un gran baccano con le ciabatte.
Dal vialetto Gianni gli disse: “Scusami se ti ho rotto le palle, Fosco”.
“Tu non rompi mai, Gianni”, gli rispose Fosco.
Indugiò per un attimo davanti alla porta, come se volesse dire qualcos’altro. Poi rientrò in casa. Sistemò i piatti nel lavello, spense le luci. Sbirciò fuori dalla finestra e vide Gianni che si allontanava nel buio.
“Con ‘sto buio sembra proprio un negro”, commentò per le sue. E non ci pensò più.
Testo Andrea Alfieri
Illustrazioni Sara Bernardi