MAROCCO
La gente brulica tra i banchi del mercato come se fosse pieno giorno. C’è sempre qualcuno che t’invita a sedere per mangiare un piatto preparato sul momento o bere un tè alla menta.
E c’è chi cerca di venderti qualunque cosa a qualunque prezzo. All’instancabile mercanteggiare marocchino, però, di sera si aggiungono anche le attività d’intrattenimento.
Le persone s’affollano in cerchio intorno a gruppi di suonatori e virtuosi del canto corale. In pochi metri si passa da una specie di cantastorie tradizionale a balletti sul ritmo frenetico dei tamburelli. Da un lato ballano uomini travestiti da odalische, dall’altro un tizio con un gallo sulla testa. Un po’ più in là, un ragazzo in sedia a rotelle si getta a terra e inizia ad agitarsi con un movimento a metà strada tra la breakdance e le convulsioni di un epilettico. C’è qualcosa di grottesco negli applausi del pubblico.
Poi ci sono gli incontri di pugilato da strada e molti spettatori pronti ad applaudire il pugile elegante. C’è il minigolf e un altro gioco che consiste nel tirare monetine su una tabella di caselle numerate, una specie di roulette spartana. Ma il gioco che m’incuriosisce di più è quello della pesca miracolosa, noto anche come “gioco delle bibite”. I partecipanti devono usare una canna con un anello di plastica al posto dell’amo per arpionare le bottiglie esposte al centro del cerchio. Chi riesce a portare a sé una bibita senza farla cadere può tenersela. Non ha limiti la concorrenza tra chi cerca di attirare, incuriosire e divertire il pubblico. Niente scimmie ammaestrate e serpenti incantati dal flautino, quelli si vedono solo di giorno. Passeggio tra i capannelli sforzandomi di sfuggire agli stereotipi sull’Africa. E invece ecco che tocca subire quelli sugli italiani.
“Ehi, español? Français?”
“No, italiano.”
“Aaah…lasciatemi cantare…”.
E così inizia il tormentone del mio viaggio in Marocco. Di volta in volta, città per città, incontri qualcuno che come prima cosa ricollega l’Italia a Toto Cotugno e alla sua canzone più nota.
“Non ti piace Toto Cotugno? Perché?”
“Lui mi piace, soprattutto il suo taglio di capelli. È la canzone che non mi piace.”
Ma il dialogo migliore al riguardo mi attende la sera seguente. Un vecchietto barcollante ci sente parlare e ci ferma.
“Italiani…”, appoggia i polpastrelli alla fronte come se stesse riflettendo profondamente.
Cerca di ricordare qualcosa, qualcosa d’importante che deve dirci. L’illuminazione affiora sul suo volto. “…con la ghitarra in mano.”
Se ne va via senza aggiungere altro, sempre barcollando.
Il tempo avanza normalmente nella Ville Nouvelle, anzi, corre, sembra aver fretta di recuperare quei fantomatici secoli di arretratezza rispetto ai paesi moderni ed evoluti. Non nella medina, invece. Lì tutto dà l’idea di appartenere al passato. Nel souk delle spezie si vendono le spezie, nella piazzetta delle stoffe si vendono stoffe e nella via dei ramaioli si batte il rame.
Khaled afferma che il suo orologio è una patacca, ma non è questo il punto. La sera prima di ripartire per l’Italia, chiedo a quelli del riad di prenotare un taxi per il mattino seguente alle sette. Quando scendo, il receptionist mi guarda stralunato.
“Ma sono le cinque!”
Lui guarda il suo telefono, poi l’orologio alla parete.
“È vero. Sono le sette.”
Fa spallucce e si mette a ridere. Questo è il punto. Il tempo in Marocco è confuso, difficile da percepire. A volte corre, a volte è fermo. Ma chi se ne frega. L’importante è non perdere l’aereo.